Museo Didattico Fiorini

Gli orfani della Prima guerra mondiale

Cenni all’assistenza agli orfani di guerra durante e dopo il primo conflitto mondiale. Introduzione La Prima guerra mondiale: una guerra nuova, moderna. Una guerra di posizione. Una guerra logorante. Un vero e proprio conflitto totale che ha coinvolto tutta la società civile, su più livelli: dalle industrie riconvertite per supportare lo sforzo bellico, alle donne poste per la prima volta al centro del mondo lavorativo, che intravedevano nel conflitto una possibilità di emancipazione. Tante le possibili definizioni della guerra 15-18. E un conflitto totale e moderno, per sua stessa natura, non risparmia nessuno, nemmeno i più piccoli: il mondo dei bambini viene attraversato da morte, mutilazioni, dispersione, stupri. Questi giovanissimi testimoni sono stati analizzati solo marginalmente alla storiografia. In queste brevi pagine analizzerò alcune situazioni specifiche contestualizzando l’emergenza orfani di guerra nella generale esperienza dell’Italia impegnata nel conflitto 15-18.  L’Italia, la guerra e l’impreparazione legislativa L’Italia allo scoppio della Prima guerra mondiale aveva alle armi 248.000 uomini e appena 2.250.000 cittadini con obblighi militari e con un livello minimo di istruzione; a questi, nel corso dei quattro anni di guerra, vennero aggiunti altri 3.224.000 uomini. Furono chiamate alla guerra le classi dal 1874 al 1900 raggiungendo i 5.698.000 uomini anche attraverso il reclutamento di persone che erano state dichiarate fisicamente non idonee e persino dei feriti e dei malati, molti dei quali caddero sotto le fatiche della guerra. Secondo gli studi i militari italiani morti per diretta causa di guerra sono circa 680.000 che, sommati ai civili sempre per concause di guerra, diventano almeno 750.000. L’età media dei soldati caduti è di 25 anni e sei mesi e molti di loro erano sposati. La regione che ebbe le famiglie con almeno quattro figli al fronte fu il Veneto. Il numero dei grandi invalidi fu calcolato nel 1926 a 14.414. Conseguenza diretta di questa situazione è ovviamente un numero elevato di vedove e di orfani.  Sulla base del censimento nazionale si stima che il numero di orfani di guerra in ciascuna provincia al 31 agosto del 1920 sono 262.535, mentre i figli degli invalidi di guerra assolutamente inabili al lavoro ammontano a 17.561, per un totale complessivo di 280.096. Udine risulta la provincia con il più alto numero assoluto di orfani, anche in rapporto al numero degli abitanti. Seguivano la provincia di Milano con 10.935, Roma con 9145 e Firenze con 8502 orfani. Secondo indagini svolte nell’aprile del 1921 la maggior parte degli orfani aveva un’età compresa tra i quattro e i dodici anni. Nella provincia di Udine, 6884 erano figli di agricoltori, 6050 figli di operai salariati, 183 figli di industriali e commercianti, 265 figli di impiegati e di professionisti. A guerra conclusa lo Stato deve chiaramente prendersi carico degli orfani di guerra e trovare il modo di gestire un numero così elevato di bambini e ragazzi a cui garantire assistenza.  Nel 1915 l’Italia era impreparata alla gestione del problema degli orfani di guerra e ciò è testimoniato dal fatto che non esistesse una legislazione specifica; precedentemente erano nati due enti: l’Opera Nazionale di Patronato Regina Elena che aveva dato assistenza ai 4800 orfani del terremoto della Marsica e l’Opera nazionale Emanuele Filiberto di Savoia che aveva assistito gli orfani dei soldati che avevano combattuto nella guerra in Libia. Si trattava tuttavia di forme di soccorso che non prevedevano una vera e propria tutela e assistenza.  All’indomani della Prima guerra mondiale, in cui il numero dei caduti aumenta ad ogni anno di guerra, si rende necessario varare delle leggi specifiche. Il regio decreto del 13 maggio 1915 istituisce dei soccorsi economici per le famiglie dei richiamati e nello stesso anno il governo stabilisce che il Ministero del tesoro conceda un acconto mensile della pensione presumibilmente dovuta a beneficio di vedove, orfani minorenni di soldati caduti in combattimento o in conseguenza alle ferite riportate. E tuttavia è la beneficenza privata ad assumersi più prontamente dello Stato alcune responsabilità.  Nel 1916 si contano 38 orfani ogni 100 morti ed il 6 giugno del 1916 il Presidente del Consiglio Antonio Salandra presenta un disegno di legge per la protezione e l’assistenza degli invalidi di guerra e per la protezione e l’assistenza degli orfani di guerra. A tal proposito si tiene un lungo e complesso dibattito a fronte di un problema urgente. Il 6 agosto del 1916 viene varato il decreto luogo tendenziale numero 968 nel quale si definisce l’orfano di guerra. L’assistenza viene garantita ai figli legittimi e legittimati di soldati caduti in guerra o per le conseguenze dei danni riportati durante la guerra. Le norme delineano puntualmente le modalità di assistenza. I sindaci dovevano provvedere a redigere l’elenco degli orfani di guerra. Il ruolo dei comuni era fondamentale perché era l’istituzione più vicina al cittadino e aveva la possibilità di individuare le situazioni di necessità. L’elenco andava trasmesso al pretore del mandamento e al comitato provinciale di assistenza, istituito presso ogni prefettura. Nei comuni viene creata una commissione di vigilanza in cui figuravano anche un maestro e il parroco per il controllo della situazione familiare a garanzia e protezione degli orfani. L’impreparazione legislativa dello Stato italiano che negli anni della guerra aveva lasciato alla disperazione migliaia di famiglie colpite dal lutto, soccorse dalle congregazioni della carità e della beneficenza, fu in qualche modo compensata anche se con risorse che rimasero modeste e insufficienti rispetto ai bisogni effettivi. L’istituto friulano per orfani di guerra di Rubignacco e altre esperienze. Particolarmente interessante al fine dell’analisi della situazione sopra illustrata è la costruzione a Rubignacco di un grande istituto per gli orfani di guerra. È Giuseppe Girardini, ex alto commissario dei profughi, a destinare 1.200.000 lire alla costruzione di un orfanotrofio in provincia di Udine che avrebbe potuto accogliere in parte anche gli orfani del goriziano e della Venezia Giulia. Viene ricercato un fabbricato capace di ospitare 600 bambini con scuole e laboratori annessi e persino una colonia agricola. Anastasio Rossi, all’epoca arcivescovo di Udine, decide di vendere il seminario di Cividale del Friuli nei locali del quale viene allestito l’orfanotrofio. L’istituto diventa attivo